martedì 14 ottobre 2014

L'autunno che c'è in me



So benissimo che c’è (molta) gente che sta (molto) peggio di me. Chi è malato. Chi non ha un lavoro o una casa. Chi soffre la fame. Chi vive in un paese in guerra… Va bene, però ad affermare queste sacrosante verità mi sembra un po’ di ritornare bambina, quando (quelli della mia generazione lo sanno!) davanti ad un cibo che non mi piaceva mi dicevano: “pensa ai bambini africani che muoiono di fame!”. A parte il fatto che credo che questa frase abbia fatto da seme per il razzismo che c’è oggi: uno è portato ad associare l’immigrato ad un cibo detestato e mandato giù a forza e quindi gli viene istintivo il rifiuto, il fatto è che è umano tendere al meglio, quindi perché guardare il peggio? Come diceva Hannibal Lecter , si desidera ciò che si vede, quindi è inutile pensare che ho più fortuna di tanti altri: vedo cose che vorrei e le vedo intorno a me.
E sono terribilmente insoddisfatta.
Ho sbagliato un sacco di cose, però più ci ripenso e più mi rendo conto che è tutto o quasi riconducibile ad un concetto: pensare più al futuro che al presente.
Con questo non intendo dire che non si debba pensare al futuro. Nella vita bisogna avere sogni e progetti  e a volte bisogna faticare o impegnarsi o combattere per realizzarli. Ma non godersi il presente in nome di un futuro migliore non sempre (anzi, quasi mai) paga.
Ci vuole una buona dose di equilibrio, ci vuole un po’ di indulgenza con se stessi, ci vuole impegno alternato a leggerezza… o si finisce amareggiati come sono ora . Ho passato anni a fare quello che dovevo più che quello che volevo per un fantomatico futuro… che non è ancora arrivato.
Quel che è stato è stato, inutile piangerci sopra, ma non torna più. E ci sono cose che poi non si ha più voglia, tempo, occasione, forza, opportunità di fare… e si rischia pure di apparire ridicoli o patetici a provarci.
Aspettare il momento “giusto” per ogni cosa spesso non ci porta ad altro che a rinunciare. Va bene il senso di responsabilità, ma da solo non basta. L’esempio più esplicativo riguarda i figli. Fare un figlio a, chessò, 18 anni, senza lavoro, senza un amore, senza rendersi conto che è uno dei pochissimi “per sempre” della vita, è sbagliato. Ma aspettare di avere soldi carriera, bella casa, opportunità, porterebbe all’estinzione della specie umana. Forse l’unica cosa che nella vita ho fatto più per istinto che con la testa sono proprio state le figlie…..
Io sono sempre stata troppo prudente, mi sono sempre fermata un centimetro prima di lanciarmi nel precipizio del “colpo di testa” e ora provarci è ancora più difficile, manca l’incoscienza della gioventù, ci sono troppe corde da tagliare. E trovare una persona che condivida la pazzia è ancora più difficile.
Per stare nel leggero: oggi la mia schiena non mi permette di provare il bungee jumping. Saltare e ballare ad un concerto in mezzo ai ragazzini mi renderebbe ridicola. Mollare tutto e provare a vivere all’estero per un po’ è impensabile….
Molti anni fa ho visto un film, Qualcosa di travolgente. Niente di eccelso, ma uscita dal cinema per un attimo ho avuto l’impulso di buttare all’aria tutta la mia vita. Ovviamente non l’ho fatto, ma spesso mi torna in mente e mi chiedo come sarebbe stato.
Vivere con prudenza mette al riparo da molte cose, ma stare lontano dagli abissi preclude anche la vicinanza con le vette.  O è tutto frutto del caso?
Mi tormento per la mediocrità di ogni scelta fatta che ha progressivamente spento tutte le mie fiammate e mi sento in una palude di sabbie mobili: quanta forza ci vuole per uscire?
Per ora non c’è conclusione: sto qui, rimugino, spero che alle mie figlie vada meglio. E ogni tanto provo a ritagliare un piccolo, microscopico spazio di follia.

3 commenti:

  1. Come non essere con te, sentire con te , immalinconirsi con te...

    Con tanta sorellanza da Soul56

    RispondiElimina
  2. A me piacerebbe andare a ballare..... e non il liscio! Lia

    RispondiElimina